LE STRIE DE' CAÌ

Le strie de' Caì (da: "Storie e Leggende targate Brescia" - L. Monchieri -ed. Bressa)

Nel tempo dei tempi, quando la gente viveva più di paure che di certezze, era credenza consolidata che le streghe della Valle del Garza si riunissero in quel di Caino per i loro forsennati sabbah e per le loro indiavolate sarabande a base di danze sfrenate e oscene. La spiccata preferenza delle streghe - ce lo tramanda la leggenda che le riguarda - andava ai giorni di bufera o alle notti di tregenda. Quando più infuriavano gli elementi impazziti tra cielo e terra: lampi, tuoni, nuvolaglia cupa e a filo d'erba, scrosci di pioggia e rovesci di grandine, tanto più le acute strida delle streghe crescevano di intensità fino a sovrastare la furia scatenata delle intemperie. Dal campanile della piccola chiesa del paese si faceva sentire allora il suono a martello della campana maggiore: un suono sinistro e lugubre impegnato a vincere l'incantesimo della stregoneria e a rompere l'impeto della bufera.
Era credenza comune, a quel tempo, che le streghe subissero l'influsso negativo dei "rintocchi a martello" e si disperdessero, dunque, senza provocare danni o minacciare pericoli agli abitanti. Convinto più di ogni altro era il campanaro che, dotato di una solida riserva di coraggio, ogni volta che la bufera annunciava il consesso delle streghe, non esitava a slanciarsi sulla cella campanaria per dar inizio al martellante rito.

Una di queste notti d'allarme, il campanaro, punto dalla curiosità, si propose di accorrere sul luogo della radunata per rendersi conto di quanto avveniva nel corso del convegno delle streghe. Per essere libero, e mettere in atto il suo progetto, si portò uno stretto parente perché lo sostituisse nell'esercizio delle sue funzioni. Non appena raggiunta la sommità del campanile e indicato al congiunto come poteva procedere il suono della "campana a martello", il campanaro disse: "ora puoi sbrigartela da solo. Continua senza interruzione finchè dura la bufera. Io corro là sul posto, per scoprire quello che combinano le streghe con la loro sarabanda". "Non hai paura che ti inceneriscano?" azzardò il pavido parente, con la voce che gli tremava nella strozza. " Che cosa vuoi che mi succeda? - replicò il campanaro - resterò ben nascosto perché non mi vedano". Non si era ancora spento l'augurio di "buona fortuna" gridatogli dal congiunto e già il coraggioso campanaro si era messo in cammino verso il luogo del raduno delle streghe.
Favorito dalle tenebre, raggiunse furtivo i pressi della scena e si nascose dietro il tronco di un grosso albero.
Davanti agli occhi esterrefatti dell'uomo si svolgeva una danza che, alla luce accecante dei fulmini, proiettava le misteriose ed orride figure delle streghe contro un cielo di pece. Ad un certo punto un'infocata saetta cadde su un mucchio di sterpaglia e di rami secchi traendo all'istante alte lingue di fuoco, che brillarono sinistre nell'oscurità della notte. Subito le streghe iniziarono una furiosa danza circolare, emettendo grida stridule e levando alte le braccia al cielo.
D'improvviso, così come era iniziata, la danza cessò. Si fece alto il silenzio. Le streghe erano immobili come statue di sale. Ed ecco, per incanto, dal braciere dell'immenso falò, uscì circondata da folgori e boati, una repellente figura infernale. Tutt'intorno si sparse un acre odore di zolfo, mentre una spessa nebbia avvolgeva lo spiazzo.
Fu in quell'istante che il campanaro, non resistendo più davanti al terrificante spettacolo, emise un altissimo grido che si ripercosse fino alle prime case dell'abitato di Caino. A quel grido le streghe si rianimarono, tesero le mani adunche verso il malcapitato, lo raggiunsero, lo strapparono dal suo precario riparo e lo posero al cospetto della creatura degli inferi, che schizzava fiamme da ogni lato. Di colpo il povero campanaro fu tramutato in albero, un grand'albero fronzuto che, stando alla leggenda, fece bella mostra di sé fino a poco tempo fa proprio sul poggio allo svolto della provinciale con la strada che prende a salire oltre il colle di Sant' Eusebio verso la Valle Sabbia e le valli del Trentino. Intanto sul campanile, il congiunto, proprio nel momento in cui il campanaro veniva tramutato in albero, udì nettamente la voce di lui che gli intimava di cessare il suono della campana a martello, ma di dare inizio al gioioso concerto dell'alleluja. Subito, ai primi rintocchi di pace, il cielo schiarì, la bufera cessò, le nuvole lasciarono ampi spazi di azzurro, lo spiazzo fu liberato dalla presenza delle streghe e la gente riprese a vivere nella quiete e nella serenità.

Alla leggenda non resta che tramandare nel tempo l'amara storia delle "strìe dè Caj" con l'intento di rendere perenne testimonianza al coraggio del povero campanaro il cui sacrificio contribuì a restituire pace e serenità alle comunità della valle.

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Ultima modifica: Mer, 05/08/2015 - 10:24